Keep it simple

keep it simple, lo dico a me e agli altri: keep it simple, che aiuta moltissimo alla ricerca della cosa e del modo migliore; ad affrontare la novità che elettrizza e fa paura, così come a mantenere lucidità nel continuare al meglio la propria battaglia corrente, che ce ne abbiamo tutti almeno una in atto, anche se magari non lo sappiamo.
e anche stringere i denti quando ce n’è bisogno.
keep it simple, come se fosse facile.
ma a ben pensarci, ne abbiam fatte delle peggio, per cui, a me e gli altri dico: keep it simple, è sempre e solo un eterno primo giorno di scuola.

ho pensato anche, in questi giorni frenetici:

che l’etimologia delle parole, illustra e spiega e motiva il motore della vita e del mondo;

che avere fratelli è uno stato di grazia sfumato di jattura, così come un incidente di percorso di cui non si ha responsabilità alcuna, intriso di fortunata, magica e perfetta meraviglia;

che basta condividere una camera da letto, una seduta comune di una platea, la audience di un qualche convegno ( any kind of) per scatenare quello che io definisco l’effetto compagni di banco, con annessa stupidera unlimited. non importa chi sei, quale il contesto e soprattutto non importa quanti anni hai;

che i mondi del lavoro, non importa quale sia il campo, alla fine sono tutti uguali, per meccanismo di funzionamento e geografia: basta fermarsi a studiarla un po’ prima, quella geografia lì specifica, e dopo si può mettere il pilota automatico, perché uno vale l’altro. regole e deregole;

che faccio sempre una fatica matta ad accettare i cambiamenti delle stagioni – intesi anche come stagioni della vita, mi sa – ma il miracolo si ripete sempre: tutto mi ri emoziona, tutto mi ri meraviglia, tutto mi ri rinnova. sono i momenti in cui penso che sia davvero bellissimo, essere me. appunto, come dicevo, sono momenti;

che la vita è una sòla, ed io anche. è sempre e solo questione di accenti;

che la bella stagione non è che sia proprio finita, ma manchino solo una decina di mesi alla prossima primavera: il tempo appena appena utile per rimettersi in forma. e la prossima, di primavera, me la farò durare di più, lo autoprometto;

una frase che mi è molto piaciuta e a cui trovo ogni giorno nuove sfumature di senso: a temporary band age on a permanent wound. l’ha scritta il mio amico alessandro paparelli, io gliene sono grata;

che la mamma è sempre la mamma, da qualsiasi parte della piramide tu la stia guardando;

lo so che vale anche da un minuto all’altro – e soprattutto da un giorno, all’altro, come diceva gloria gaynor – ma adesso io la stavo pensando a livello di anni: se penso a come era diversa la mia vita lo scorso anno, sia per addizioni che per sottrazioni, al netto di divisioni e senza le benedette moltiplicazioni, mi si disegna un bel ohhh di sorridente stupore. come dicevo, whatadiffrenceadaymakes, per riassumere;

che il correttore automatico – any device, anywhere all over the planet- molto semplicemente, ducks. jucks. sucks. ( però ci rende più simpaticamente umani).