Ebbene sì, mi è tornata. mi chiamo kate, e sono seriedipendente. rigorosamente in lingua originale coi sottotitoli in originale per le lingue che conosco, o in italiano per quelle di cui invece non ho sufficiente padronanza. lo sono fin da will & grace, che rubacchiavo in streaming – e che lo streaming mi hanno fatto scoprire – in epoca recondita. ma forse a ben pensarci già lo ero da ragazzina, quando addirittura registravo su cassetta le puntate di happy days, col vecchio fonzie che non riusciva a pronunciare la parola scusa, per riascoltarmele senza immagini in settimana, in attesa della puntata nuova. sono cresciuta, crescendo i due figli quasi adolescenti, con beverly hills 90210; mi sono confrontata ed interrogata sulle relazioni amorose su sex and the city nei miei fortysomething; ho ritrovato in copia carbone il mio rapporto con lafra in quello altrettanto meraviglioso delle gilmore girls; ho dipanato la mia relazione col colonnello vivendola oltreoceano sulle battute dei soprano’s, che hanno arricchito le mie già importanti conoscenze di parolacce in inglese; a loro ho iniziato l’ arido quinquennale – col quale ne ho condiviso alcune pietre miliari – per poi lasciarlo con una dipendenza tutta sua. ma più che mai ci ho riempito personali piacevolissime solitarietà – che sono molto diverse dalle solitudini, di cui graziaddìo non sono mai stata vittima – insieme ad una pletora di amici paraimmaginari – e di titoli che sono troppi per citarli tutti – che non mi lasceranno mai più. mi piacciono quelle che finiscono; mi piace tuffarmi nel loro mondo sempre meno inventato facendo binge watching di tutte le stagioni in una volta: maratone da cui emergo portando con me pezzi nuovi di me stessa che prima non avevo. ho vissuto esperienze che non avrei avuto mai nella realtà reale; parlato gerghi che non avrei incontrato mai da sola; mi son calata in storie paradossali che mi sarebbero costate la prigione o la reputazione, se mi avessero avvinta nella vita vera. ho avuto anche momenti di distacco, che capisco ora essere stati mancanti di quel piacevole, lieve e salvifico rintanarsi in mondi inventati, che rende più sopportabile e colorata la realtà del momento. ho persino creduto, lately, di averne perso il gusto. poi ho preso la residenza a downton abbey per una lunga e penosa degenza, lo scorso inverno, ed una volta uscitane ho cercato di rallegrarmi con the unbreakable kimmy schmidt, mi sono regalata lievita che non avevo in una modern family; ho mandato il cervello in vacanza con sheldon cooper ed il suo gruppo di svitati in the big bang theory, ho rivissuto incredibili, dolorose ed imperscrutabili drammatiche realtà reali, ricalcando episodi di law & order ed anche di oj. ho imparato a non temere di farmi passare sopra il gelo del tempo con frankie & grace; ho conosciuto intimamente la futura sposa d’inghilterra vestendo insieme a lei i suoi suit; ho simpatizzato con la grande elisabetta seconda, portando insieme a lei il privilegio e l’enorme fardello della sua crown; ho condiviso crimini e perdizioni con un selezionato gruppo di amici a gomorra. ma non mi ero più innamorata totalmente di un mondo parallelo fino a che non ho aperto le porte della casa de papel, il cui idioma prima ostico ora mi risuona chiaro e modulato nel cervello. ci sto passando gli ultimi due giorni, in questa casa di carta, e ritrovo un po’ di me in ognuno dei balordi della cricca del professore. talmente innamorata che ne temo il prossimo distacco. ma con una consapevolezza nuova: quella che la mia ultima addiction, mi aggiunge sfumature e non mi ha tolto anzi mi regalato, tempo. e soprattutto che – per dirla come avrebbe fatto nairobi – empieza el matriarcado, ed inesorabilmente, fieramente, io con lui. se mi cercate mi trovate lì, per ora, o in altri mondi simili, che di certo scoprirò a breve. ma mai in luoghi comuni, perché nel fantastico mondo delle serie televisive, di questi, non vi è mai traccia.